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Permacultura & MUTUO-AIUTI REPORT n.2 - SICILIA, Trapani, febbraio 2014

SPUNTI PER UNA PERMACULTURA APPLICATA: cosa ha fatto il Gruppo di Mutuo-Aiuto REGIONALE a Trapani nel febbraio del 2014.

tratto dal libro
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M.P.B.M
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di A. Francesco Papa

circle

Il Gruppo di Mutuo-Aiuto questo mese si è riunito all’Orto dei Miracoli di Alcamo (in provincia di Trapani).

Devo dire che la maggior parte degli stimoli li ho ricevuti da Alessandra Delle Pezze, che ha risposto con esaustività a un 70-80% delle mie domande (qualche impreparazione sulla nomenclatura latina delle piante).
Cominciò quando – attraversando con lei i grandi spazi aperti del centro-sicilia – disse: “Però vedi Antonio, tutto questo ormai per me non è più bellezza!”, e ci ha spiegato il concetto di...

CALANCO

Il calanco è uno smottamento improvviso di parte di una collina, anche piccolissima! La terra in determinati punti sembra “franata”, mancante, interrotta, spezzata come un quadro di picasso.

Ciò è causato dalla mancanza di un sufficiente numero di radici in grado di mantenere unito il suolo allorquando piove e la pioggia lo ammorbidisce bagnandolo. Il processo “erosivo” è presente ovunque nel centro-sicilia, perché i segni sono presenti ovunque. Io ho notato i canali di ruscellamento dell’acqua piovana ai fianchi di cumuli e colline (“cicatrici”), Alessandra i calanchi.
Cicatrici e calanchi producono indirettamente suoli argillosi, in quanto l’acqua scorrendo a grande velocità sul terreno seleziona, cattura e trascina proprio le particelle d’argilla più superficiali, le quali – non trattenute da nulla – vanno dove le porta l’acqua, cioè a fondo valle.
L’argilla ha la proprietà di “rinfrescare” un terreno. Con il primo “casuale” smottamento, l’acqua trova nuove superfici alle quali strappare particelle argillose ed ecco il terreno diventa sempre più arido e disidratabile mentre a fondo valle si accumulano strati “naturali” di argilla, che non saranno buoni per impianti di stagni e laghetti, perché – diceva Alessandra – sarebbero PERIODICI (pieni d’inverno e secchi d’estate), quindi inadatti ad ospitare uno specifico biotopo da umido, che per essere tale dovrebbe essere perenne.
Un calanco non produce ecosistema ma solo desertificazione, che comunque – concluse la valloniana – è anch’essa un’altra forma di ecosistema, seppure meno vantaggiosa per l’uomo. Certo laddove sorgesse una fonte d’acqua, gli accumuli d’argilla darebbero vita a laghetti stabili e con essi a “oasi nel deserto” tutte intorno; le dune – sabbia senza argilla – verrebbero smosse, create e disfatte al soffio del vento.
Quando siamo arrivati all’Orto dei Miracoli, abbiamo trovato un ragazzo sorridente alto coi capelli neri e una barba molto folta – anch’essa nera, ad accoglierci. Naturalmente aveva il suo da fare, ci ha detto qualcosa e poi è volato via.
Il casotto per gli ospiti è estremamente rustico; subito uno dei molti franceschi disponibili si mise all’opera per fare la pasta, con il grano dell’orto trasformato in farina da una piccolissima macina acquistata online. Però il mattarello era forse uno di quelli usati da Elio (il figlio di Salvo) nei suoi giochi, e perciò fu faticoso per Paola – l’aiutante di Francesco – impastare la farina per farne pasta. Ma alla fine ci riuscì e venne su benissimo.
Il mio impegno all’OdM non è stato lungo. Per qualche giorno mi sono dedicato principalmente al taglio delle canne, alla semina in semenzaio e al diradamento di un pendio. L’Orto dei Miracoli, infatti, altro non è che un vasto pendio opportunamente terrazzato (dal nonno, e poi dal nipote). I percorsi sono lunghi e sparsi su diverse altezze, e perciò potenzialmente più suggestivi delle piatte ed inespressive lande ragusane.
I nudi sentieri, assai argillosi, sono l’incubo di ogni paio di scarpe in tessuto. Camminare con stivali al minimo sbrizzio di pioggia è consigliato.

TAGLIO DELLE CANNE

E’ bene organizzarsi principalmente in due “squadre”: uno taglia e l’altro sfolia con la roncola. Un terzo potrebbe ammucchiare il materiale in diversi punti qualora le fascine a terra dovessero farsi troppo ingombranti, ma questo terzo non è necessario.
Io non ero necessario.
Alessandra tagliava col seghetto a mano solo le canne prive di germogli laterali, io sono stato meno meticoloso e tagliavo quelle che trovavo in mezzo alla strada.
La canna non va spezzata in 2 o 3 parti col seghetto proprio lì subito!! Si penserà a segmentarla DOPO LA STAGIONATURA (almeno 1 anno in piedi in luogo riparato dalla pioggia). Al momento del taglio, la canna và cimata solo della testa. Per togliere la testa (fiorita o meno) Antonio non utilizzava il seghetto o le mani ma il seguente facile metodo: si curva l’estremità contro il terreno e poi si dà un colpo secco nel punto di maggior tensione, con la roncola (ma anche un colpo di karate a mano nuda potrebbe funzionare). Le foglie potrebbero essere raccolte anch’esse perché, diceva Alessandra, sono PACCIAME (dopo 1 anno danno ottimo humus, ovvero si compostano in fretta). Ma noi le abbiamo lasciate lì ad ammuffire (miglioreranno quel terreno terribilmente argilloso).
La guaina che ricopre i fusti non va “roncolata”, perché – ha lasciato detto Salvo – la canna stagiona meglio nella sua guaina. La pulizia completa e perfetta della canna si fa dunque solo alla fine dell’anno di stagionatura.
Tagliare la canna già stagionata col seghetto (non a motore) è molto facile, ma si ricordi di far fare il lavoro alla sega, piuttosto che alla “mano-che-guida-la-sega”. Opporsi al peso dello strumento e ostinarsi nelle nostre direzioni, può dare qualche problema.
Contrappunti di Progettazione: ho chiesto ad Alessandra se il bambù potesse crescere in quel posto. Ha risposto di sì, clima e terreno non gli sarebbero ostili e competerebbe con successo con la canna selvatica, per dare vita a colture miste. Il bambù è più desiderabile per l’uomo: il suo legno è stabile e duro, ha perciò un prezzo più alto al mercato, e tagliando le canne di bambù otterremmo ogni anno germogli di bambù, che – diversamente dai germogli di canna – sono commestibili!
Un modo più efficace di smerciare canne (selvatiche o di bambù), è fare con esse cannicciati. In questa forma è più probabile trovino l’interesse di qualche denaricoltore urbano.

SEMINA IN SEMENZAIO

Angela, la moglie di Salvo, ci diede la torba e ci istruì. Alessandra ha sempre seminato senza istruzioni. Ha imparato da sola. Usa compost allungato per il suo semenzaio. Angela invece ci ha dato un pacco di torba dal costo di 7 euro.
La torba proviene dalle torbiere in via di esaurimento dislocate in lontane parti del mondo, ed essendo io convinto che la natura non voglia farci dipendere dagli inglesi per far germinare le plantule, ho chiesto alla valloniana cosa si potrebbe usare al posto della torba e del compost puro (troppo “ricco” per i germogli). La valloniana ha risposto: “Mi hanno detto che la terra dei castagneti è buona per queste cose, insieme a quella sotto i cipressi1”. Questo è un motivo in più per coltivare boschi cedui e fustaie affianco i soliti orti e i soliti frutteti, nei nostri giardini in permacultura.
Nella pratica ho imparato che la torba è troppo leggera e porosa così com’è, e messa dentro gli alveoli di germinazione và pressata almeno 2 volte con il dito prima di posare il piccolo seme. Quando spaccandosi morirà (e nascerà il virgulto), le deboli e tenere radici troveranno vera terra e non aria su cui crescere; questa non sarà dura, asfittica e impenetrabile come quella argillosa.
L’OdM ha molte, tante gebbie (vasche d’acqua collegate continuamente colmate da una fonte centrale in eterno scorrimento). Siccome gli alveoli erano in polistirolo, galleggiando sopra l‘acqua per qualche tempo si inumidivano da sé. E fu così che, dai testi di idromeccanica studiati a scuola, passai alla verifica del principio di capillarità2.

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DIRADAMENTO DEI PENDII

Qui non ho fatto molto, ma durante il viaggio io ed Alessandra parlammo proprio del migliore trattamento di un pendio, e perciò riporto qui una sintesi.

I migliori modi per trattare un pendio sono 3:

  1. Piantumarlo con erbacee, alberi ed arbusti dotati di radici lunghe ed intricate (soprattutto a fittone, in modo da penetrare anche qualche metro - quelle dell‘erbaggio da pascolo possono essere profonde solo poche centimetri!) al fine di stabilizzare la maggior quantità di terra possibile e catturare l’acqua in discesa. Queste piante non devono avere pretese nutrizionali e problemi d’adattamento. Devono essere “pioniere”. E’ meglio che abbiano foglia larga e ciclo vegetativo soprattutto invernale (ad es. Acanthus mollis) in modo da assorbire più acqua specialmente nelle aree in cui le piogge abbondano, e restituire più pacciame quando seccano.

  2. Segnare il pendio con “tagli” orizzontali, canali o scavi/fossi, punti tutti collegati lungo la stessa linea di livello (altezza/altitudine) nei quali l’acqua in piena andrà accumulandosi per fermarsi ed essere assorbita dalle essenze spontanee e, più lentamente, dal terreno stesso. Lo “swale” (così viene chiamato da B.Mollison), non è una trovata di Mollison. Alessandra ci parlava di una enciclopedia italiana degli anni ’50 a tema agricolo, in cui l’autore consigliava proprio questo genere di lavori! E adesso riciclo la battuta della ragazza: “I lavoratori della terra non sono stati sempre stupidi. Sono stati istupiditi!”.

  3. Terrazzando. Su un piano orizzontale di terra l’acqua ovviamente non scorre, ma “penetra”. Sta ferma e non dilava nulla. Può essere raccolta e ridistribuita come e dove meglio si crede.

    La tecnica per terrazzare un pendio non la conosco. C’era però fra noi Casper, un 23enne svizzero, che ho scoperto si dilettava proprio in questo tipo di opere e avrebbe potuto insegnarmi qualcosa. Pazienza. Ad ogni modo l’OdM è già tutto terrazzato!

Attorno al fuoco, alla sera, il “piantastorie” (Salvo) ci ha intrattenuto un po’, anche con la sua chitarra.
C’erano fra noi pure suonatori di fisarmonica e flauto ma non hanno fatto orchestra.
Uno spunto interessante è venuto da Sara. Ci ha raccontato che il “processo” per essere lì con noi in quel momento, non fu veramente fluido e svelto, ma il periglioso viaggio in dono le rese almeno una subitanea idea: la sicilia ha 3 punte, ed un eventuale logo avrebbe gioco facile nel trasformarle in rappresentazioni “permaculturali” delle 3 etiche della permacultura. In effetti pochissime regioni coi propri confini naturali e non politici possono richiamare così speditamente la “trinità” (o un qualsiasi altro triplice principio). Ma per quanto riguarda il fine ultimo di questa proposta, non l’ho capito bene, dal momento che un logo è utile a un’associazione che si costituisce tale per interfacciarsi agevolmente col pubblico e il politico in generale, ciò che – mi hanno riferito – non è stato deciso di fare.
Per quanto riguarda i problemi che sono emersi parlando un po’ qui un po’ là, ne ho raccolti due. Quello di un ragazzo di cui non ricordo il nome, che non sapeva come proteggere le sue viti da impietosi attacchi fungini. Parlava di un utile fitofarmaco allo zolfo che naturalmente non vuole assolutamente acquistare. Siccome l’altro giorno leggevo che l’aglio disperde particelle volatili proprio di zolfo, dopo un po’ mi sono ricordato e l’ho informato della cosa, anche se sinceramente non penso possa bastare. Vedremo. Cmq oggi trovo scritto tra i miei appunti: “75g di bulbi tritati di aglio, diluiti in 10 litri di acqua. Infuso” contro le micosi delle piante. Questa soluzione sembra essere più concentrata. L’infuso si fa mettendo la roba a galleggiare 5-10 minuti in acqua calda a fuoco spento. Di più non so, ma «se lo so te lo dico», chiosava Roberto a Ciumara Ranni, forse alludendo al fatto che non bisogna sempre pagare per istruire la gente!


Anche se privi di organiche esperienze sul campo, in questi contesti è bene parlare liberamente dando al gruppo quel poco o quel tanto che ognuno in sé tiene, perché una info tira l’altra e non si può mai prevedere quale sarà l’anello della catena che permetterà alla catena del “mutuo-aiuto” orale, di proseguire il suo percorso verso un forse consolante epilogo.

 

Molto diversa era invece la situazione di Vincenzo, affranto per il suo orto inquinato da una vicina discarica. Alessandra gli ha detto: “Puoi coltivare legno in quel posto!”. Ma è sempre difficile rinunciare a un pomodoro qui e ora per avere costosi tronchi di legno domani e dopodomani, che non si sa bene a chi dare per affettarli e rivenderli. Così il problema è rimasto e, a parte le “brassicacee che assorbono metalli pesanti”, non ci sono venute in mente altre soluzioni. In quel momento. Tornando a casa e riflettendo adesso, mi sono invece ricordato che proprio al precedente Mutuo-Aiuto tenutosi a Furci, Philip di Copenaghen – un altro valloniano – ci disse che spargendo carbone attivo sul fondo di un bancale, questo assorbirà i veleni proteggendo le colture sopra!! Sul carbone attivo ci fu una specifica discussione perché era prodotto gratuitamente dalla Lucia Stove“. Cmq non ricordo esattamente a quale profondità del frescone occorre mettere questo strato di carbone, e per quanto tempo si mantiene efficace. Bisognerebbe telefonare al Vallone.
La notte seguente io e gli altri fantastici 4 della citroen blu, siamo stati ospitati dal Centro “Tar-Do-Ling” (che significa “terra che dà la pace” o qualcosa del genere). Si trova nei pressi di Montelepre e mi sembra di aver capito che è una realtà fondamentalmente diadica, formata da Simona & Danilo + qualche wwoofer occasionale. La coppia ha aspirazioni e-comunitarie, ma per il momento è ferma al piano del B&B rurale per corsisti e turisti. La struttura è grande ed è la più adeguata all’ospitalità fra quelle che – nella mia povera esperienza – ho incontrato finora, in quanto uno spirito razionale pare dividere gli spazi dall’interno, illuminandoli: locale dispensa, locale artigianato, locale meditazione, locale attrezzature di rifornimento energetico all’avanguardia; 3 linde ed ampie stanze da letto con bagno privato ciascuna! Acqua calda, docce e allacciamento alla rete idrica comunale qualora l’acqua piovana – raccolta dalla monumentale cisterna in giardino - non dovesse bastare!! Un vero investimento nel “nuovo mondo” ...para-urbano.
La cucina con simpatica penisola è un piccolo open space con area musica (c’era un tamburello, mezzapianola e qualche altro diversivo a lato), ma, osservava Alessandra, “non ci sono divani da nessuna parte!”. Forse la meditazione del bodhisattvatra sopperisce anche questo bisogno (quello di riposare).
I lavori di ristrutturazione, è vero, sono ancora evidentemente incompleti, ma si nota a sprazzi una sensibilità estetica per i dettagli che promette grandi cose. All’esterno ci sono ancora troppe macerie e pile di materiale vario in diversi punti, ma anche qui è possibile scorgere una eccezionale base di partenza.
La casa è sorvegliata all’uscio da un ulivo di 500-800 anni. Pini altrettanto secolari marcano l’area d’ingresso e sono belli a vedersi (anche se i fusti andrebbero puliti meglio dai rami secchi). L’altera cima del montelepre vigila su tutto ed offre al luogo quel “punto focale” così prezioso in architettura del paesaggio.
All’OdM feci notare a Vincenzo che, se avessi avuto soldi, la prima cosa che avrei fatto sarebbe stato, almeno, pavimentare la disordinata, scomoda, inintellegibile “area A.S.A - Area Social all’Aperto”, che è quella dove nel giardino di una casa in campagna gli umani pervenuti numerosi tendono primariamente a raccogliersi. Al centro Tar do Ling ho invece capito che non occorre pavimentare e spendere soldi e fatica, se si curano altre cose: qui il punto-falò era accuratamente perimetrato con un cerchio di pietre bianche (dello stesso esatto colore e dimensione!), mentre attorno, grossi tronchi – altrettanto selezionati e rifiniti, fungevano da sedili, formando un cerchio concentrico al cerchio di prima. Il risultato era gradevole, pulito, ordinato, e si, lì un “pavimento” non era necessario!
Andando per boschi, Simona ci ricordò che solo da pochi giorni la loro gallina non era più.
Questo – insieme a qualche altra info – ha confermato in me l’idea che il concetto di permacoltura o “COLTIVAZIONE-A-DISTANZA”, non è sostenibile!
Per chi non lo sapesse, le galline allevate allo stato brado, venuta la sera tornano spontaneamente nel loro nido dentro il recinto. All’uomo tocca solo il compitino di andare a chiudere la porticina.
Simona e Danilo sono stati via solo 2 giorni, una per un corso e l‘altro per lavoro, ed ecco un cane è venuto e ha preso la gallina. Perciò, se è vero com’è vero che un ciclo permacolturale completo coinvolge piante-animali-uomo alla stessa misura, mi chiedo come si possa pensare di fare organicamente pemacultura piantando solo piante in un ettaro visitato alla domenica dall’ asfissiato impiegato di città, che alla domenica vuole poi riposare, non fare lavoretti in campagna! E’ questa una soluzione “ibrida”, che in sè non è né carne né pesce.
Sotto un pino la coppia tiene una vasca piena di terra. Vabbè non se ne capisce bene il motivo ed è anche brutta a vedersi, ma affossando le dita scopriamo trattarsi di un substrato morbido e friabile. Abbiamo così avuto modo di verificare con mano la validità della teoria di cui parlava Alessandra il giorno prima: “Mi hanno detto che la terra dei castagneti è buona per queste cose, insieme a quella sotto i cipressi”.
Qui non c’erano cipressi bensì pini, ma sempre di conifere si tratta!

 

La terra per il semenzaio
deve essere sterile”

 

Agli ignoranti come me ricordo che quando si dice “sterile”, in questo ambito specifico non si vuole dire che occorre una terra senza funghi e batteri, “sterilizzata”! Ma una terra senza semi di specie estranee.
Beh, quella sotto le conifere è notoriamente “sterile”, non cresce niente sotto un pino!

Dopo qualche anno eventuali semi preesistenti perdono il proprio potere di germinazione, e quelli nuovi non riescono a germogliare facilmente perchè la terra di un bosco di conifere è abbastanza acida, tuttavia... acida lo è anche la torba, che è un otttimo substrato da semina importato in Europa dalle torbiere3 inglesi, per lo più. L‘esistenza nel terreno di speciali sostanze chimiche ed ormoni secreti dalle conifere, potrebbero inibire la germinazione di NUOVE plantule, ciò che non può avvenire con la torba pura, che per questo in semenzaio viene preferita rispetto alla terra prelevata a caso da un bosco di conifere.
Senz’altro però non sono “allelopatici” i castagni. La terra sotto i castagni è acida – ciò che inibisce la nascita di tutte le rivali basofile - ma è terriccio anche umico ed esente da specifiche sostanze gemmo-inibitrici.
Un sostrato da semina diverso dalla torba e dalla terra-di-castagno, è il compost, purché miscelato con normale terra al 50%. L’eventuale ricchezza in azoto del compost, è un problema per tutti i semi poiché potrebbe bruciare le radichette appena spuntate, ma è un problema doppio per quelle piante che preferiscono germinare sul pietrisco, come nel caso delle piante alpine, nonché per tutte le piante sub-nitrofile.
Infine, il vermicompost può essere usato tal quale per le speciali operazioni di semina in vivaio. Esso stimola anche il seme più recaltritante a venir fuori e germogliare; le talee radicano sicuramente; trattandosi di puro humus, cioè compost stabilizzato, i microrganismi di cui è ricco proteggono la pianta e la sostengono in toto. Le caratteristiche fisiche che signoreggia, sono le migliori tra quelle dei suoli sabbiosi, e le migliori tra quelle dei suoli argillosi. La plantula non patirà dunque né ristagni né iper-drenaggio.
Dopo questa visita didattica con pernottamento gratuito al centro Tar Do Ling, ce ne siamo tornati ognuno a casa propria.

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Questa è arrivata qui MERCOLEDI' 15 MARZO 2017, alle ore 14:57 da www.toscanafantasy.com
NOTE A PIE' DI PAGINA

1 Si riferiva ai 2 cipressi del Vallone, il luogo in cui vive. Ma più in generale si riferiva alle conifere, che acidificano il terreno circostante. Anche la torba ha un ph naturalmente più elevato!

2 Lo stesso principio si può applicare all‘irrigazione dei nostri vasi sul balcone o in cortile: riempiendo d‘acqua ampi sottovasi, la terra nei vasi si inumidirà da sè, e resterà inumidita finchè l‘acqua in fondo non asciuga!

3 Un accumulo di “torba” in campo aperto, tra verdi pascoli e mucche e pecore, è un mucchio di muschio e sfagno decomposto, continuamente umettatto dalle piogge inglesi, costanti tutto l’anno.